RECENSIONE 'YELLOWFACE' DI REBECCA KUANG - MONDADORI

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Yellowface * Rebecca F. Kuang * Mondadori * pagg. 384


Che male può fare uno pseudonimo? Juniper Song ha scritto un libro di enorme successo. Però forse non è esattamente chi vuole far credere di essere. June Hayward e Athena Liu, giovani scrittrici, sembrano destinate a carriere parallele: si sono laureate insieme, hanno esordito insieme. Solo che Athena è subito diventata una star mentre di June non si è accorto nessuno. Quando assiste alla morte di Athena in uno strano incidente, June ruba il romanzo che l'amica aveva appena finito di scrivere ma di cui ancora nessuno sa nulla, e decide di pubblicarlo come fosse suo, rielaborato quel tanto che basta. La storia, incentrata sul misconosciuto contributo dei cinesi allo sforzo bellico inglese durante la Prima guerra mondiale, merita comunque di essere raccontata. L'importante è che nessuno scopra la verità. Quando però qualcosa comincia a trapelare, June deve decidere fino a che punto è disposta a spingersi pur di mantenere il proprio segreto.



June e Athena sono amiche dai tempi dell'università. Destinate a diventare scrittrici, Athena sfonda subito come autrice di successo; June invece, rimane più nell'ombra. Una riesce a trovare idee per rimanere ai primi posti delle classifiche dei libri più venduti; l'altra arranca con romanzi che portano solo alla insistente domanda della madre :" Quando ti trovi un vero lavoro?". Un rapporto quindi che, anche se amichevole, è pervaso da una sottile, ma poi non così tanto, invidia.
Quando, in seguito all'incidente di cui veniamo subito a conoscenza, June si appropria del manoscritto di Athena, si svela un legame non proprio genuino.

June entra in un vortice da cui sembra voglia uscire, ma il successo inaspettato, ma tanto cercato, la travolge fino a non consentirle di riparare all'errore commesso. In realtà, agli occhi di Juniper Song, pseudonimo con cui pubblicherà il romanzo, l'atto commesso è un errore che riconosce a fasi alterne.  Ci sono momenti in cui è pienamente cosciente del malfatto;  altri, e rappresentano la quasi totalità della storia, June costruisce delle arzigogolate giustificazioni psicologiche che dovrebbero portare anche noi lettori a sostenerla.
Ecco, se Rebecca Kuang fosse riuscita in questo intento, avrei definito la sua idea grandiosa. L'abilità, a manovrare psicologicamente il lettore per portarlo a pensare come giusto un comportamento oggettivamente errato, l'avrei definita straordinaria. Qui è mancata completamente ed è quello che mi sarei aspettata per la piega che stava prendendo la narrazione. 
Nella prima metà del romanzo mi sono sentita come su un'altalena, tra tensione per capire come June sarebbe riuscita a cavarsela tra le accuse di plagio e la noia nel leggere le sue discolpe che facevano acqua da tutte le parti, sebbene supportate da flashback riguardanti episodi accaduti tra le due scrittrici.

Due è il mio giudizio. Due come gli elementi che mi hanno attirato di più e che hanno dato sostegno a una storia per me debole e per la quale non riesco a trovare una giustificazione a tanto clamore se non per una veste grafica molto carina e attraente.
Uno è l'aver messo in luce i "dietro le quinte" del mondo editoriale. Ha soddisfatto la mia curiosità svelando meccanismi che, cavalcando l'onda del "questo vogliono i lettori", sacrifica brillanti menti e idee per far nascere poi storie degne solo di uno spacchettamento (e per me neanche quello). Ma è ciò che vogliono. Non importa se l'influencer lo abbia letto o meno; ciò che conta è che induca all'acquisto.
L'altro elemento è la questione del "politicamente corretto", scaturito dal soggetto della storia plagiata e a me sconosciuto (contributo economico e non bellico della Cina nella I Guerra Mondiale con l'invio di oltre 140 mila manovali e operai cinesi nelle fabbriche inglesi per sopperire all'assenza dei lavoratori europei impegnati al fronte). Qui la Kuang l'affronta in maniera evidente e opportuna, ma in modo troppo prolungato. Così tanto da aggiungere solo noia a una storia già priva di attrattiva.


Purtroppo il romanzo si è arenato nelle sabbie mobili del piagnisteo di June, del suo vittimismo e della costruzione del suo alibi.
Anche il finale non ha avuto alcun senso. Ha solo rimarcato la mia antipatia per la protagonista.





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