RECENSIONE LASCIAMI ANDARE, MADRE
07:30
LASCIAMI ANDARE, MADRE * Helga Schneider * Adelphi * pagg. 130 |
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"Dopo ventisette anni oggi ti rivedo, madre, e mi domando se nel frattempo tu abbia capito quanto male hai fatto ai tuoi figli". In una stanza d'albergo di Vienna, alle sei di un piovoso mattino, Helga Schneider ricorda quella madre che nel 1943 ha abbandonato due bambini per seguire la sua vocazione e adempiere quella che considerava la sua missione: essere a tempo pieno una SS e lavorare nei campi di concentramento del Führer.
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Purtroppo questa storia è vera.
Non è frutto dell'immaginazione dell'autrice. È la sua storia.
Quella di una figlia che 57 anni prima si è vista abbandonata, insieme al fratello Peter, da una madre votata a una causa disumana: lavorare nei campi di concentramento, a servizio del Führer.
Helga ha già incontrato nel '71 quella che dovrebbe essere sua madre.
Un incontro reso ancor più doloroso dall'indifferenza mostrata verso il nipote Renzo, figlio della scrittrice.
Helga ci riprova nel '98 spostandosi nuovamente dalla terra, l'Italia in cui ha provato a costruirsi una nuova vita, verso quella austriaca, teatro del suo dolore e naturalmente per lei inospitale.
Se nel primo incontro la mente della madre era ancora terribilmente lucida e pervasa da una convinzione ferma, radicata della vocazione a cui aveva risposto, nel secondo presenta momenti caratterizzati dalla perdita della memoria più recente e da uno sguardo perso. Il sangue chiama, accompagnato dalla speranza impetuosa di non veder spezzato l'ultimo, debole laccio che lega Helga alla madre.
Helga, nel suo cuore, ha perdonato la madre per averli abbandonati, ma per ciò che ha compiuto verso il popolo Ebreo, no!
Come vorrebbero sentire le sue orecchie una flessione nella voce tendente ad abbandonare la rigidità delle sue scelte.
Come vorrebbe vedere negli occhi un luccichio che mostri un minimo di pentimento.
Da quella bocca che avrebbe dovuto cantare nenie e proferire parole d'amore, Helga riesce a tirare fuori, piegandosi anche a ricatti morali, aneddoti, episodi truci che di umano non hanno assolutamente nulla sperando quasi che la madre possa ravvedersi.
Donna che ha dato la vita a due figli, ma che l'ha tolta a migliaia, istruita a non provare alcun sentimento di compassione.
Donna, non madre!
Helga ci racconta il suo tormento interiore, il suo desiderio di perdono che si scontra con un non pentimento, l'evoluzione poi in un desiderio ad odiare pur di liberarsi da quel legame che le provoca ribrezzo.
"Solo odiandoti sarei finalmente capace di strapparmi dalle tue radici. Ma non posso. Non ci riesco"
Man mano che va avanti il colloquio presso la casa di riposo che orami ospita la sua genitrice, un sentimento primordiale si evolve:
"E mi rendo conto che se fino a ieri avvertivo la sua assenza come un'ossessionante presenza, ora la sua presenza è un'irrevocabile assenza".
Grazie a questo incontro riaffiorano in Helga episodi della sua infanzia ormai dimenticati per inserirli in un quadro familiare e storico che si riveste di tragicità.
Tutto ciò ha portato in me un forte turbamento immaginando soltanto quello psicologico dell'autrice che con una penna semplice, fluida e diretta permette di non dimenticare, ma purtroppo anche di conoscere nuove atrocità inimmaginabili.
E quella virgola posta tra "lasciami andare" e "madre", va a sottolineare in maniera ancora più forte e decisa la profonda sofferenza nell'accettare una separazione definitiva alla quale sperava di non dover arrivare.
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