RECENSIONE OGNI VOLTA CHE TI PICCHIO
07:00
Meena è una scrittrice.
Lui è un docente universitario.
Un matrimonio organizzato in poco tempo è per lei preludio
di una grande storia d’amore, ma si rivelerà una prigione, la sua casa una
stanza delle torture.
C’è poco da dire su quello che la scrittrice ci racconta, su
ciò che ha subito. Poco da dire, ma molto da leggere, purtroppo.
Le violenze iniziano poco dopo il grande giorno e sono
giustificate, a dire del carnefice e di una società che mira a evitare il “dire
della gente”, da un suo passato di guerriero maoista, di politico
rivoluzionario.
Ogni colpo inferto, ogni stupro perpetrato ai danni della
sua donna rappresenta l’attuazione di precise tecniche: “ciclo dell’abuso,
colpevolizzazione della vittima, ricatto emotivo, paura, obbligo, senso di
colpa, coercizione riproduttiva, mascolinità tossica”. A ciò aggiungete la
minaccia di applicare torture conosciute in seguito ai suoi trascorsi da
combattente e modalità di uccisione atte a far sembrare tutto un incidente.
Cosa trattiene la vittima ad una vita del genere?
La speranza.
“la speranza mi
impedisce di togliermi la vita. La speranza è quella voce gentile nella testa
che mi impedisce di scappare…la speranza è l’ultima a morire.
A volte mi ritrovo a
desiderare che la speranza fosse morta prima, senza un abbraccio né un
biglietto d’addio, e mi avesse costretta ad agire”.
Difficile. Molto difficile parlare di questo romanzo, la sua
lettura è stata altalenante nelle emozioni: coinvolgimento, incomprensione,
stordimento, orrore, rabbi, perplessità. Un’altalena che è diventata un apice
continuo al termine della lettura. Alla fine del testo infatti, viene riportata
una recensione pubblicata su “The Wire” con cui mi sono stati tolti
fondamentalmente due interrogativi:
- 1) Può una storia del genere essere romanzata in
modo da fornire perplessità sulla sua veridicità?
- 2 )Estraneità della protagonista: in alcuni punti
sembra che racconti una storia vissuta da un’altra donna.
L’autrice ci spiega che la struttura del romanzo si è resa
necessaria:
- perché ha consentito di intrappolare il carnefice “nel
metro cronologico della poesia che ha scelto”;
- perché da un punto di vista legale si tratta di una
questione ancora aperta;
- da un punto di vista filosofico (e così il mio secondo dubbio
si è dissolto), “raccontare puo’ essere una catarsi, ma per lei è una seconda,
più raffinata forma di castigo. Sono la donna incaricata di parlare al posto
suo. Sono la donna che fa le veci dell’altra donna, quella che odia far parte
di questa storia e vuole tenersi fuori da ogni sua narrazione”.
Una lettura che è capitata casualmente in una settimana in cui si ricordava, il 25 novembre, la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Non amo queste celebrazioni. Possibile ricordare in un giorno ciò che accade quotidianamente e che, quotidianamente si nasconde come polvere sotto il tappeto dell’indifferenza?
La storia di Meena è vera. È vera come molte altre.
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