RECENSIONE OGNI VOLTA CHE TI PICCHIO

07:00

 

Ogni volta che ti picchio * Meena Kandasamy * edizioni e/o *  pagg. 235


India dei giorni nostri. Lei è una scrittrice, una poetessa, una giovane attivista dal passato tormentato e il cuore spezzato. Lui è un docente universitario, un ex guerrigliero maoista, un uomo che, parlando della rivoluzione, sembra più intenso di qualsiasi poesia, più commovente di qualsiasi bellezza. Si conoscono, si innamorano, decidono in fretta di sposarsi. La coppia si trasferisce in una lontana città costiera dell'India, senza vincoli né programmi, pronta a un salto nel vuoto che li vedrà protagonisti insieme. Lì, dietro le porte ben chiuse di una villetta circondata da un giardino selvaggio, il marito perfetto cambia volto, trasformandosi poco a poco in un carceriere e in un carnefice. La limitazione delle libertà della moglie – vestiti, trucco, capelli; e poi: email, telefonate, fino al divieto di scrivere – traccia l'inizio di una spirale di violenza e sopraffazione che vedrà la donna sempre più sola e terrorizzata, abbandonata anche dalla famiglia di origine. Finché lei stessa non deciderà di reagire riprendendo in mano il controllo della propria vita. Il romanzo di Meena Kandasamy è un pugno allo stomaco. Non solo perché porta in scena, passo dopo passo, la lenta discesa agli inferi della violenza domestica, scardinandone i meccanismi di manipolazione, di ricatto emotivo e pressione sociale, accompagnando il lettore nelle stanze solitarie dell'abuso attraverso le pieghe del linguaggio e le armi delle tecniche narrative.



                🌟🌟🌟🌟


 

Meena è una scrittrice.

Lui è un docente universitario.

Un matrimonio organizzato in poco tempo è per lei preludio di una grande storia d’amore, ma si rivelerà una prigione, la sua casa una stanza delle torture.

C’è poco da dire su quello che la scrittrice ci racconta, su ciò che ha subito. Poco da dire, ma molto da leggere, purtroppo.

Le violenze iniziano poco dopo il grande giorno e sono giustificate, a dire del carnefice e di una società che mira a evitare il “dire della gente”, da un suo passato di guerriero maoista, di politico rivoluzionario.

Ogni colpo inferto, ogni stupro perpetrato ai danni della sua donna rappresenta l’attuazione di precise tecniche: “ciclo dell’abuso, colpevolizzazione della vittima, ricatto emotivo, paura, obbligo, senso di colpa, coercizione riproduttiva, mascolinità tossica”. A ciò aggiungete la minaccia di applicare torture conosciute in seguito ai suoi trascorsi da combattente e modalità di uccisione atte a far sembrare tutto un incidente.

 

Cosa trattiene la vittima ad una vita del genere?

La speranza.

la speranza mi impedisce di togliermi la vita. La speranza è quella voce gentile nella testa che mi impedisce di scappare…la speranza è l’ultima a morire.

A volte mi ritrovo a desiderare che la speranza fosse morta prima, senza un abbraccio né un biglietto d’addio, e mi avesse costretta ad agire”.

Difficile. Molto difficile parlare di questo romanzo, la sua lettura è stata altalenante nelle emozioni: coinvolgimento, incomprensione, stordimento, orrore, rabbi, perplessità. Un’altalena che è diventata un apice continuo al termine della lettura. Alla fine del testo infatti, viene riportata una recensione pubblicata su “The Wire” con cui mi sono stati tolti fondamentalmente due interrogativi:

-        1) Può una storia del genere essere romanzata in modo da fornire perplessità sulla sua veridicità?

-        2 )Estraneità della protagonista: in alcuni punti sembra che racconti una storia vissuta da un’altra donna.

L’autrice ci spiega che la struttura del romanzo si è resa necessaria:

- perché ha consentito di intrappolare il carnefice “nel metro cronologico della poesia che ha scelto”;

- perché da un punto di vista legale si tratta di una questione ancora aperta;

- da un punto di vista filosofico (e così il mio secondo dubbio si è dissolto), “raccontare puo’ essere una catarsi, ma per lei è una seconda, più raffinata forma di castigo. Sono la donna incaricata di parlare al posto suo. Sono la donna che fa le veci dell’altra donna, quella che odia far parte di questa storia e vuole tenersi fuori da ogni sua narrazione”.

 

Una lettura che è capitata casualmente in una settimana in cui si ricordava, il 25 novembre, la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Non amo queste celebrazioni. Possibile ricordare in un giorno ciò che accade quotidianamente e che, quotidianamente si nasconde come polvere sotto il tappeto dell’indifferenza?

La storia di Meena è vera. È vera come molte altre.

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